Neuroscienze, apprendimento e didattica della matematica


 

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10. Il linguaggio e le immagini


Quando esprimiamo un pensiero usiamo sempre qualche dispositivo simbolico (non potrebbe essere altrimenti, dato che non siamo telepatici). Un pensiero riguarda sempre qualcosa, e un modo standard di riferirci a questo "qualcosa" è quello di usare la parola "concetto". Allora potremo sinteticamente dire che quando parliamo di linguaggio verbale intendiamo riferirci alla capacità dell’uomo di usare parole e frasi in modo tale che i concetti nella nostra mente possano essere comunicati agli altri o, indifferentemente, a come percepiamo le parole che ci vengono dette e a come le trasformiamo in concetti.
L’uso del termine "concetto" però può essere fuorviante perché tende a suggerire che ci sia un’entità ben definita, ad esempio il concetto di numero, che si acquisisce o non si acquisisce. In realtà non esiste in questo senso un procedimento del tipo "tutto o nulla".

Il "concetto"

Acquisire un concetto collegato a una parola vuol dire riuscire a controllarne l’uso tramite immagini adeguate. Supponiamo che a una persona venga fatto vedere un piccolo cartoncino con qualcosa stampato sopra e le venga detto che è un biglietto d’autobus, fornendone una definizione adeguata. In mancanza di qualsiasi esperienza pratica, per quella persona il concetto "biglietto d’autobus" si identificherà quasi totalmente con la definizione e non lo renderà capace di immaginare l’insieme dei comportamenti e dei significati correlati alla definizione stessa1 come fa invece l’abitante di una grande città che abbia acquisito lo stesso concetto anche per pratica diretta.
Una grande utilità della parola sta nel fatto che ci permette di comunicare le nostre concettualizzazioni senza specificare che tipo di forma hanno nella nostra mente, istante dopo istante. Possono essere mappe, parole, immagini, sensazioni motorie, ricordi, o tutto questo insieme. Userò d’ora in avanti il termine "immagine" o "non verbale" per qualunque rappresentazione mentale che non abbia il "formato" verbale2 .
Già Aristotele nei suoi splendidi studi di logica afferma che la semanticità di un suono consiste nella sua capacità di rinviare all’immagine della cosa presente nell’anima, ossia alla corrispondente affezione, assumendo valore di simbolo.

Ora, (i suoni) che sono nella voce sono simboli delle affezioni che sono nell’anima, e i segni scritti lo sono dei (suoni) che sono nella voce3

In questa analogia le parole scritte stanno alle parole dette come le parole dette stanno alle immagini.

"Concetto" e immagini
Ma Aristotele individua anche le prime profonde differenze:

…se non si percepisse nulla non si apprenderebbe né si comprenderebbe nulla, e quando si pensa, necessariamente al tempo stesso si pensa un’immagine […] le immagini sono come le sensazioni, tranne che sono prive di materia. Ma l’immaginazione è diversa dall’affermazione e dalla negazione, poiché il vero e il falso consiste in una connessione di nozioni […] Ma le prime nozioni4 in cosa si distingueranno dalle immagini? Certo, neppure le altre sono immagini, ma non si hanno senza le immagini5

Qui Aristotele tocca un punto fondamentale: l’immaginazione è diversa dall’affermazione e dalla negazione, poiché il vero e il falso consiste in una connessione di nozioni. Il linguaggio è uno straordinario strumento di pensiero che con la sua evoluzione nel tempo ci ha permesso di introdurre criteri di verificabilità nei nostri ragionamenti: il vero e il falso consentono di elaborare correttamente i prodotti di quella cosiddetta "compressione cognitiva"6 che ci aiuta a categorizzare il mondo e a ridurre l’insieme delle strutture concettuali a una scala gestibile. I concetti salgono da piani molto concreti a livelli estremamente astratti7 , e l’astrazione, livello dopo livello, richiede l’intervento di una sintesi, di una compressione. Così la parola "biglietto d’autobus" può evocare esperienze vissute direttamente, mentre la frase "la democrazia richiede una partecipazione informata" ha bisogno, per essere ben compresa, dell’intervento della capacità del pensiero di riunire molti concetti sotto un unico simbolo (e parallelamente molte immagini in un’unica rappresentazione) e su quell’unico simbolo operare ancora nello stesso modo, riunendolo ad altri fino ad arrivare ai massimi gradi dell’astrazione.



Immagini e verifica

Da un punto di vista neurologico però la maturazione dei processi linguistici non è strettamente correlata a quella delle capacità concettuali. Si danno casi di bambini che crescono con sistemi concettuali gravemente compromessi ma con una buona competenza grammaticale mentre, viceversa, bambini con sordità fin dalla nascita, hanno una capacità concettuale normalissima pur non sviluppando un linguaggio verbale. Anche le persone che hanno compromesse alcune funzioni legate all’area verbale non hanno per questo problemi di concettualizzazione. Durante una conferenza internazionale dal titolo Pensiero senza linguaggio un giovane matematico universitario con un grave problema nella lettura e nella scrittura (dislessia) descrisse come riuscisse a pensare senza usare il linguaggio verbale: " Sin dalla più tenera età mi resi conto di come sia più facile riflettere su alcune cose senza usare il linguaggio.". Quando calcolava la resistenza totale di una rete di resistori ne immaginava la configurazione fisica e "…manipolavo la rete tagliandola, piegandola e ricollegandola mentalmente… il processo era del tutto averbale, eppure preciso come l’algebra a cui andava a sostituirsi"8
Le lesioni cerebrali hanno messo in evidenza come l’uomo possa perdere le sue capacità verbali senza perdere le facoltà immaginativa, quelle cioè di richiamare immagini alla mente e di elaborarle.

Processi linguistici
e capacià concettuali

La questione delle immagini mentali è un tema presente da sempre nelle questioni che coinvolgono il pensiero, dal tempo dell’antica Grecia ad ora, ma nel ‘900 ha avuto vicende alterne. La psicologia rifiutava qualunque indagine che si servisse dell’introspezione e quindi per lungo tempo non si è occupata del tema, ma agli inizi degli anni ’70 Shepard mise a punto una serie di esperimenti con i quali dimostrò definitivamente che gli uomini sono capaci di formare immagini mentali e di operare con esse. Contemporaneamente Allan Pavio dimostrava che le immagini sono in grado di migliorare le prestazioni della memoria, rispetto a una rappresentazione proposizionale dei ricordi. Si cominciò allora a pensare a due forme distinte ma ugualmente valide di rappresentazione mentale, quella proposizionale e quella per immagini, e che lo studio dell’immagine mentale come effettiva modalità di funzionamento della mente umana, fosse ormai possibile. Il maggior studioso in questo campo è stato lo psicologo S. Kosslyn9 . I suoi studi sulle immagini mentali hanno anche precisato meglio le loro relazioni con i modelli mentali, oggetti affini ma non uguali alle immagini.

Immagini mentali

Un modello mentale si può definire come una descrizione non proposizionale, analogica di un determinato stato di cose. Le immagini e i modelli mentali hanno intersezione non vuota, ma non coincidono, essendo gli ultimi orientati a una funzione più strettamente cognitiva, piuttosto che a una semplice rappresentazione percettiva. In altre parole, a parità di immagine di un ente, il modello mentale corrispondente cambia in funzione della sua destinazione cognitiva, per esempio una singola rappresentazione può originare due diversi modelli mentali, rappresentanti l’uno l’Italia, l’altro uno stivale.

Modelli mentali

Secondo Kosslyn si possono generare immagini attingendo alla memoria a lungo termine, si possono raggruppare, sottoporre a trasformazioni varie, classificarle in termini di categorie semantiche. Il programma di Kosslyn può essere considerato un’impresa innovatrice nel campo della scienza cognitiva10 perché affronta problemi fino ad ora tradizionalmente filosofici con riccorrendo a un sistematico programma di ricerca sperimentale. Si occupa in profondità delle rappresentazioni mentali evitando gli errori delle prime ricerche, troppo basate su dati introspettivi. Partendo da dati sperimentali, fa ricorso in modo massiccio a modelli di simulazione al computer e sviluppa importanti connessioni con le neuroscienze che sono oggetto oggi di vitali esplorazioni. Sono stati chiariti molti aspetti della generazione di immagini mentali, comprese le somiglianze e differenze nei confronti della semplice percezione o della memoria. Il gruppo di Kosslyn non ha certamente risolto tutti i problemi importanti sulle immagini mentali, eppure, partendo dalle ricerche di Pavio, Shepard e di altri ricercatori, ha fatto dello studio dell’immaginazione mentale un argomento rispettabile all’interno della scienza cognitiva e ha affrontato aspetti cruciali di questa rappresentazione mentale. Possiamo dire con Gardner 11 che l’immaginazione mentale è oggi al centro di ogni mappa cognitiva della disciplina.

Il programma di Kosslyn

L’ esperienza personale nella matematica come studentessa e come insegnante mi ha portato a prestare molta attenzione ai processi immaginativi, che ho vissuto come parte insostituibile dei processi mentali miei e dei miei alunni nello studio della materia. Mentre la psicologia sperimentale rifiuta per motivi epistemologici l’introspezione, l’insegnamento fa molto spesso affidamento sulla comprensione degli stati interni di pensiero e l’attività didattica spinge continuamente l’insegnante a chiedere o a figurarsi ciò che passa per la testa dei propri alunni. L’attenzione alle loro immagini mentali nel momento iniziale di una situazione nuova semplifica Il lavoro, in quanto un modello mentale ben costruito fin dai primi stadi può risolvere molte situazioni che altrimenti avrebbero uno sviluppo negativo.
L’autopercezione dei processi cognitivi però privilegia in modo netto i processi analitico-verbali. Questi infatti, mediante le parole, possono descrivere e definire e, con le loro proprietà analitiche, portarci alla soluzione dei problemi per gradi, affrontandone un aspetto per volta; ci mettono in grado di astrarre, di essere logici e razionali. Il pensiero per immagini invece sembra un parente povero del precedente. Possiamo essere consapevoli delle immagini che pensiamo, ma spesso ci sfuggono, sommerse dalle parole, e anche quando non le perdiamo per strada, non siamo in grado di estrarne un senso compito, razionale; molto spesso ci risulta persino difficile anche il solo raccontarle.
Il nostro pensiero per immagini viene di norma percepito legato alle emozioni, privo di logica, frammentario e mescolato a impressioni e sensazioni provenienti da altri organi di senso che non siano la vista. In altre parole siamo tentati di guardare al pensiero per immagini come a un pensiero primitivo, magari simile a quello di una scimmia (vi siete mai chiesti come po’ pensare una scimmia?…), come al pensiero di un bambino che serve fino a quando, con l’uso della parola e della scrittura, non si sviluppi pienamente il pensiero verbale, e con esso la razionalità, la capacità di astrarre e di simbolizzare.

Importanza didattica
delle immagini mentali
 

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