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Grandi cose e grandi pensieri scuotevano le menti libere di quel gruppetto di intelluttuali, artisti - scienziati, che nel '400 avrebbero
riempito coi loro lavori i musei del mondo e dato la gioia ai secoli a venire di rivedere in quello una rinascita dell'Umanità. La ricoperta
dei classici greci e latini nel ridare al pensiero la sua natura laica e creativa, svincolandolo dal peso della divinità rivelata, riusciva
a diffondere in quel gruppo, come una epidemia, la voglia di capire, di scoprire, di realizzare opere straordinarie. Queste potevano nascere solo
all'interno di un pensiero scientifico e da una ricerca del bello e della misura, tutta umana come lo era quella di Euclide o Socrate
o Fidia. Quando Alberti vide il modo e la grandiosità con cui Filippo Brunelleschi stava alzando a Firenze, con ogni sorta di nuovi
macchinari, la cupola di Santa Maria del Fiore scrisse
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:
vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto
di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse
appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?
Così Alberti ebbe modo di esprimere la sua meraviglia col dubbio, che pervaderà questo intervento, che tutto questo e molto altro
fosse già saputo dagli antichi e dimenticato, distrutto dalla violenza delle guerre e dalla barbarie del conquistatore. Anche la pittura,
affine e certo indispensabile all'architettura, produceva, per la perfezione degli scorci prospettici che era possibile realizzare,
dei ''miracoli''.
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dimostrazioni quali, fatte da noi, gli amici, veggendole e maravigliandosi, chiamavano miracoli.
Pare, secondo la testimonianza di Manetti (entusiasta discepolo di Brunelleschi) che la prospettiva sia nata da una burla. Non interessa quà
sostenere o meno la veridicità di questa storia quanto farla nostra per aiutare il nostro pensiero, oggi immerso in ogni tipo di immagine,
a capire il senso straordinario di quei ''miracoli''. Pare che Brunelleschi avesse costruito e dipinto due tavolette che rappresentavano in perfetta
prospettiva la Piazza della Signoria col palazzo Ducale ma che andavano viste ponendo l'occhio dietro la tavoletta in un piccolo foro in modo
che l'immagine dipinta fosse vista riflessa da uno specchio tenuto di fronte col braccio teso. Questo marchingegno che forzava l'occhio
dell'osservatore in una determinata posizione e il disegno riflesso sullo specchio a una distanza fissa, unito al fatto che il cielo, colorato
in argento, rispecchiava il movimento reale delle nuvole, dava l'illusione, in qualunque luogo si fosse, di vedere la piazza. La burla, e altre
se ne raccontano intorno alla figura straordinaria di Brunelleschi, consisteva nel fatto di costruire una realtà fitizzia così
corrispondente ai meccanismi di ricomposizione della realtà del nostro pensiero da creare l'illusione emotiva di essere in quella
realtà ricreata. Si veniva così a rompere il vecchio confine tra il possibile e l'impossibile e Leonardo, per citare solo un esempio,
riusciva, col suo Cenacolo, a ''fotografare'' a distanza di secoli e secoli il Cristo con gli apostoli dando l'impressione mistica a chiunque veda
il dipinto di essere in quella stanza e di vivere quel momento. Questi ''miracoli'' erano conseguenze di una scienza, di un nuovo pensiero
geometrico, che molti hanno creduto e credono figlio del Rinascimento, capace di codificare in modo preciso e non empirico la geometria della
visione, con lo scopo di creare un'equivalenza tra la visione di un quadro e quella della realtà restituendo, nelle due dimensioni del
dipinto, la tridimensionalità della scena. Non che questo problema fosse assente dalle botteghe d'arte dei grandi maestri del '200 e del '300,
anzi era forse questo uno dei problemi più difficili e di maggior interesse: ogni maestro dava una propria soluzione, spesso diversa da
quadro a quadro, formulando delle regole soggettive, senza alcuna motivazione se non di natura estetica e visiva.
L'occhio non basta
Per dare un'idea
seppur vaga di questi primi tentativi di dare una soluzione geometrica al problema di come rappresentare la profondità riferiamo
di due metodi entrambi sbagliati in voga nelle bottghe d'arte prerinascimentali.
Per cominciare si trattava di decidere come rappresentare sul dipinto un pavimento squadrato con linee di profondità che si allontanano
verso l'orizzonte, e linee trasverse a loro perpendicolari e parallele al piano del dipinto. Tale pavimentazione permetteva, una volta
realizzato lo scorcio, di ''squadrare la profondità'' e di collocare conseguentemente i personaggi e gli oggetti da
rappresentare nella giusta posizione prospettica. Ora, per quel che riguarda le linee di profondità, una qualche esperienza diffusa
dall'osservazione di strade o filari di alberi suggeriva di rappresentarle nel quadro come se fossero convergenti a un particolare punto
che Alberti chiamerà ''punto centrico'', ma per le linee trasverse che si vedono avvicinarsi tra loro man mano che si allontano verso
l'orizzonte, pur essendo nella realtà della pavimentazione equidistanti, mancava una qualche evidenza coerente con la visione. Per
questo le varie botteghe d'arte suggerivano metodi diversi, spesso tenuti segreti che potevano dunque essere apprersi solo attraverso la
frequentazione orale del maestro il cui prestigio
dipendeva naturalmente dalla sapienza di quella che Luca Pacioli chiamava segretissima scienza
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.
Uno di questi metodi è il così detto metodo delle superbipartienti che Alberti critica aspramente
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. Superbipartiente è un
termine della matematica e della musica medioevale e indica un rapporto proporzionale di due terzi, più esattamente indica la
diminuzione di un terzo di una delle due quantità. La proporzione che passa ad esempio tra 9, 6 o tra 6 e 4 (diminuzione di un terzo) veniva
chiamata "superbipartiente". Il metodo consiste nel dividere la linea di terra in un certo numero di parti uguali, di fissare il punto centrico C,
di scegliere la prima alzata AP ad occhio e tracciare le altre nella proporzione superbipartiente, cioè diminuendo via via di un terzo
la quantità trovata.

Il risultato sembra realizzare, a occhio, un buono scorcio della pavimentazione. Sembra che l'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti (1344) dove
Maria
siede su un pavimento squadrato, sia stato realizzato secondo questo metodo.

Alcuni studi di Pisanello
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confermano, anche dal punto
di vista numerico, l'uso frequente di questa tecnica ancore nel XIV secolo.
Un altro metodo, molto curioso, per realizzare lo scorcio di una pavimentazione regolare, ci viene descritto da Ignazio Danti
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. Si fissa, come al solito, il punto centrico C e si divide la linea
di base in un certo numero di parti. Si traccia poi un quarto di circonferenza, come nella figura seguente, e si divide l'arco in
un certo numero di parti uguali (si suggerisce di dividerlo in 15 parti uguali), si congiungono queste parti col punto A e si tracciano
le parallele alla linea di base che corrisponderebbero alle immagini prospettiche delle linee trasverse

Anche in questo caso il risultato non sembra lontano dall'effetto prodotto dalla visione di un pavimento orizzontale. Tuttavia questi metodi
erano approssimativi, geometricamente sbagliati. Sarà Alberti a criticarli apertamente nel De Pictura
poco prima di suggerire
il suo ''modo ottimo''.
Ma cosa vuol dire che un metodo è ''geometricamente sbagliato''? Come si puņ scegliere una procedura rispetto ad un'altra
se non con criteri estetici? E' nel tentativo di rispondere a queste domande che avviene un salto di pensiero, una svolta di grande portata.
Verso un modello scientifico
Sia Alberti che Leonardo che Piero della Francesca che per primi hanno scritto sulla prospettiva, cercano una risposta nei metodi della
geometria. Scriverà Leonardo:
... quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno
certezza dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria, della quale la prospettiva è guida e porta e
senza questa nulla si fa bene.
E Piero della Francesca
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parlerà di prospettiva come di vera scientia. La riscoperta della cultura classica, e in particolare di
quella scientifica, ha ovviamente un ruolo centrale in questa svolta. Euclide e i suoi Elementi, variamente tradotti e commentati,
diventeranno un paradigma di rigore e metodologia scientifica, un modello a cui riferirsi. Tuttavia lo spunto che permette di
costruire la prospettiva su basi geometriche nasce, crediamo, più che da una consapevole metodologia scientifica, basata
su postulati e definizioni iniziali, dalla forza di una metafora largamente diffusa negli ambienti intellettuali dell'epoca: la
metafora del vetro. Scrive Alberti
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:
...in questa superficia si representino le forme delle cose vedute, non altrimenti che se essa fusse di vetro tralucente
tale che la pirramide visiva indi trapassasse, posto una certa distanza, con certi lumi e certa posizione di centro in aere e ne' suoi
luoghi altrove.
e ugualmente Leonardo da Vinci con un disegno e una frase sintetizza lo stesso concetto
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:
Prospettiva non è altro che vedere uno sito dirieto uno vetro piano e ben' trasparente, sulla superficie del quale siano segniate
tutte le cose che sono da esso vetro indirieto: le quali si possano condurre per piramidi al punto dell'ochio e esse piramidi si tagliano
su detto vetro.

Questa metafora ha una natura già di per se squisitamente geometrica poiché si riferisce a una piramide e alla intersezione di
tale piramide con un piano e pone con chiarezza il problema della realizzazione prospettica in termini di proiezione centrale. Tuttavia il
processo di riacquisizione di un metodo scientifico, malgrado il chiaro tentativo di emulazione dei classici, non si realizza con facilità
come si potrebbe immaginare ed è proprio su queste difficoltà che articoleremo questi interventi. Le difficoltà sono legate
a nostra avviso principalmente a due fattori importanti: il contesto storico nel quale tale rinascita avviene (del quale discuteremo in questo
articolo) e le difficoltà cognitive che il pensiero incontra nel passare da una logica naturale a una logica formale, trattate nel
successivo articolo L'arco di pietre.
Bagliori nel buio.
Il degrado culturale in Europa all'inizio del Medioevo (V, VI, VII dopo Cristo) aveva portato a un livello di analfabetizzazione generale diffusa non solo
tra le popolazioni superstiti ma anche nei conventi e nei monasteri dove l'unico ''sapere'' che veniva in un qualche modo tramandato era quello
relativo all'attività del culto, come l'armonia musicale o il coputo della data della Pasqua. Gregorio di Tourus nella sua Historia Francorum
scritta alla fine del VI secolo osserva sconsolato come la pratica della lettura si fosse estinta nelle città della Gallia. Anche la
così detta rinascita carolingia, avviata da Carlo Magno nell'VIII secolo, per quel che riguarda la matematica, è di una
povertà sconcertante. Il livello scientifico sembra più basso di quello desumibile dai papiri egizi e ben lontano dalle prime
ricerche geometriche della scuola eleatica e pitagorica. Basti pensare che nelle Propositiones ad acuendos juvenes di Alcuino di York
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, il
testo di riferimento per introdurre la geometria e l'algebra nella scuola di Palazzo istituita dallo stesso Carlo Magno, pi greco viene
approssimato col numero 4 e si insegna a calcolare l'area di un triangolo isoscele moltiplicando la lunghezza di metà base per quella
del lato obliquo, sulla base di fonti forse cinesi o indiane. Mi sembra inutile ricordare in questa sede il calcolo di pi greco di Archimede
che fornisce un algoritmo attraverso il quale è possibile calcolare questo numero con una precisione arbitraria eseguendo solo le quattro
operazioni dell'aritmetica ed estrazioni di radici quadrate, o la formula di Erone che fornisce l'area di un triangolo in funzione delle
lunghezze dei suoi lati.
La riconquista del sapere da parte dell'umanità, avviene attraverso un percorso lungo e difficile, privilegiando gli aspetti
più pratici rispetto a quelli teorici, i risultati più che le dimostrazioni spesso mutilate e non capite. Lo stesso metodo
assiomatico-deduttivo proprio dell'ellenismo, non viene per lungo tempo compreso e i fondamenti epistemologici vengono trascurati o confinati
all'interno della disputa filosofica. I pochi testi greci conservati, di 1000 anni precedenti, sono spesso mutilati, mal commentati e presentano
un corpo disorganico e frammentato della scienza antica di difficilissima ricomposizione Gli Elementi di Euclide e l'Almagest di Tolomeo
proprio
per la loro struttura elementare e sistematica avranno un ruolo importante, ma non sufficiente, in questa difficile ricostruzione che avviene
oltre tutto in un contesto politico e culturale completamente diverso.
Lo sviluppo dell'attività commerciale legata agli scambi di merci tra paesi lontani, la formazione delle prime comunità cittadine,
delle prime banche, l'introduzione nel XIII secolo della numerazione indo-araba ad opera di Fibonacci, hanno fortemente contribuito a sviluppare
un tipo di ''pensiero scientifico'' nuovo ed essenzialmente pratico che trovava nelle scuole d'abaco, sviluppatesi sopratutto nel centro Italia,
espressione completa anche sul terreno didattico. Lo stesso Piero della Francesca è autore di un Trattato d'abaco considerato, nel genere,
di ottimo livello. Oltre allo sviluppo della nuova numerazione e agli algoritmi di calcolo per le operazioni aritmetiche (compresa l'estrazione
della radice quadrata e cubica), questi trattati contenevano una parte di geometria dove si insegnava a calcolare rapporti, aree e
volumi.
Questa ''geometria pratica'', come veniva chiamata, cominciava col definire le figure della geometria euclidea e via via venivano esposte
varie regole per calcolare le aree e i volumi anche in situazioni complicate come nel caso del calcolo del volume di una botte. Infine, per
sottolineare il carattere pratico dell'insegnamento impartito, venivano descritti strumenti di misura agronomica come archipendoli, quadranti
geometrici, diottre usate per determinare, ad esempio, l'altezza di torri o di montagne, la larghezza di un fiume, la profondità di un
pozzo sfruttando la similitudine di opportuni triangoli. La dove l'autore lo ritenesse opportuno, per giustificare le affermazioni fatte, vi
erano rimandi agli Elementi di Euclide testo che appariva del tutto simile a una sorta di indiscutibile scrittura sacra . Mancava insomma
qualsiasi riferimento critico alla scelta dei postulati, la cui funzione ed importanza non veniva riconosciuta e sopratutto mancava la
consapevolezza di poter tutto ricostruire col solo ausilio del pensiero logico razionale, senza dover fare appello a verità rivelate
o metafisiche o a incomprensibili ingarbugliati ragionamenti. Le stesse interpretazioni, semplificazioni e mutilazioni operate nei secoli
da copisti e commentatori degli Elementi restituivano nel XIV secolo un'opera confusa nei suoi contenuti metodologici e fondazionali ma
straordinaria e divina nella sua capacità di dedurre col solo ragionamento da pochi dati una così copiosa messe di
risultati. Divina
nel senso etimologico del termine era per Luca Pacioli la sezione aurea, divina nella trattazione neo-platonica ancora presente, l'esistenza
di soli 5 corpi regolari, ognuno dei quali dunque, doveva avere un qualche significato filosofico. Significato legato agli elementi
fondamentali della natura (aria, acqua, terra, fuoco e quinta essenza) che resterà vivo fino a Keplero come una chiave di
interpretazione del mondo che mischia scienza e metafisica, logica umana e creazione divina.
Nello studio della visione, della quale vogliamo occuparci più dettagliatamente in questo intervento, si mischiano in modo naturale diversi
piani d'interpretazione: quello fisiologico (legato al funzionamento dell'occhio), quello fisico (legato alla natura della luce) quello filosofico
(legato all'ontologia della visione) e quello geometrico che stabilisce come e in quali condizioni oggetti diversi vengono visti uguali. E' chiaro
che è quest'ultimo punto quello che più ha a che fare con la rappresentazione pittorica dal momento che il risultato che si desidera
ottenere è proprio questa identità tra la visione del quadro e la visione della realtà che il quadro rappresenta. Fatti semplici
e legati all'esperienza quotidiana come ad esempio che tra due oggetti uguali quello più lontano si vede più piccolo si traducono
immediatamente in una regola di rappresentazione pittorica che impone di disegnare più piccolo l'oggetto più lontano. O anche il
fatto che segmenti paralleli che si allontanano in profondità vengono visti non paralleli, come se prolungati dovessero convergere in
un punto infinitamente lontano, ha una immediata applicazione alla pittura. Tuttavia questi fatti se restano isolati, non inseriti in una organica
trattazione geometrica, non sono sufficienti a dare una rappresentazione realista di un ambiente tridimensionale, non riescono a rappresentare
coerentemente la profondità su una superficie piana realizzando il ''miracolo'' di cui parla Alberti.
Analoghe incoerenze illustri
Una della difficoltà nel passare da un approccio empirico basato su esperienze dirette e deduzioni elementari, a un approccio scientifico
fondato su oggetti astratti legati tra loro da una teoria generale, consiste senza dubbio nel rendere coerenti tra loro i diversi dati
dell'esperienza. Una teoria scientifica è tanto più interessante e valida tanto più riesce a unificare in un solo quadro
fenomeni altrimenti slegati e non rapportati tra loro. Il fatto ad esempio che la caduta di un sasso e la rotazione della Luna attorno alla
Terra, fenomeni frutto dell'esperienza comune di tutti noi potessero essere pensati come due aspetti particolari di una stessa teoria
scientifica è reso possibile solo dalla presenza di una teoria astratta , la meccanica razionale, all'interno della quale è
possibile interpretare quelli ed altri fenomeni diversissimi tra loro. E' questo un esempio oggi ben noto e che non desta più
stupore e forse per questo, si tende a sottovalutarne il significato epistemologico, penalizzando l'insegnamento astratto, non riconoscendo
le difficoltà che si sono dovute superare per costruire questo quadro interpretativo, difficoltà che consistono proprio
nell'individuare delle categorie astratte e di manipolarle col pensiero in modo da formare una teoria coerente capace di interpretare
e prevedere a un livello più alto la varia fenomenologia. Questo passaggio è tutt'altro che evidente e naturale e riesce
difficile anche in situazioni estremamente semplici. Facciamo due esempi assolutamente elementari per evidenziare come non sia così
naturale passare da dati empirici locali a un quadro globale coerente.
Il primo esempio riguarda l'uso delle frazioni in Leonardo da Vinci e il secondo il teorema dell'apparente convergenza di
raggi paralleli tra loro.
Dice Leonardo
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