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Luciano De Crescenzo, ritenendo che la comunicazione multimediale e interattiva sia essenziale per l'apprendimento, suggerisce
alla ministra Moratti di far registrare agli insegnanti migliori (e quali sono?) dieci video di 15 minuti su ogni materia per poi
distribuirli in tutte le scuole. Ora, a scuola e altrove, la comunicazione è sempre stata multimediale e interattiva molto prima
che la tecnologia ci regalasse questi aggettivi. Inoltre da tempo molte ditte, specie anglosassoni, diffondono in tutto il mondo
cassette e altro materiale didattico.
Di questi temi si è discusso a Venezia nei giorni scorsi in un seminario ristretto sulla virtualità organizzato dall'"Academia Europaea"
presso l'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. In complesso i partecipanti, pur riconoscendone i vantaggi, hanno manifestato
parecchie perplessità sulla didattica mediata dalla tecnologia e hanno sottolineato l'importanza del contatto diretto tra docenti e
discenti: solo la compresenza fisica garantirebbe l'interattività, facendo della lezione un momento costruttivo non solo per gli allievi
ma anche per l'insegnante.
Io continuo a far lezione col gesso. Certo è faticoso ripercorrere sulla lavagna gli impervi sentieri tante volte solcati e i colleghi
che hanno optato per i lucidi, le diapositive e i calcolatori portatili mi guardano con un certo benevolo compatimento. E' faticoso per
me, che ogni volta devo prepararmi almeno un po', ed è faticoso per gli allievi, che dalla lezione alla lavagna sono spinti a prendere
appunti, a seguire passo passo, insomma a lavorare.
Scrutando i loro volti (ho la fortuna di avere al massimo una ventina di studenti) adeguo il mio procedere alla loro comprensione,
torno indietro, ripeto un passaggio, talvolta li invito a proseguire da soli, insomma ricorro a tutta quella gamma di piccoli trucchi
didattici che ogni docente conosce. Ma questa fatica è ricompensata: la partecipazione attiva accresce il rendimento, gli studenti
penetrano più a fondo nella materia, preparano meglio gli esami e li superano in modo più brillante (rispetto a un paio di
tentativi che feci in passato di svolgere un tipo di lezione più "tecnologico").
A Venezia i relatori, in maggioranza docenti universitari, hanno ammesso che la lezione tecnologica induce (negli allievi) una passività
proporzionale alla facilità con cui viene svolta (dagli insegnanti). Inoltre è ripetitiva, mentre la lezione col gesso non
è mai uguale a sé stessa, come non è mai uguale a sé stessa l'esecuzione di un concerto rispetto all'uniformità della
musica riprodotta.
La diffusione delle lezioni registrate ha un altro inconveniente: tutti seguono lo stesso insegnante che dice le stesse cose, senza tener
conto del contesto storico e sociale, delle capacità individuali, della preparazione. Viene quindi ad aumentare l'omologazione
culturale. Inoltre, quando registra un corso, anche il miglior insegnante avverte l'artificiosità della situazione e fa una lezione
finta, che è poi ritoccata e migliorata con un processo cosmetico per adeguarla a un canone ideale che deve valere per tutti.
La lezione si allontana cosė dalla sua natura più intima, che è quella di una recita. Una recita che coinvolge l'attore e il
suo pubblico in un'interazione forte, razionale ed emotiva insieme. E' questo coinvolgimento che, nell'era del cinema e della tv, ci
spinge ancora a frequentare il teatro.
Avvenire, 22.11.01
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